La missione di Matteo Ricci in Cina è una straordinaria storia di strenuo lavoro, diplomazia, cultura, religione, stile di vita e successo: in questo caso la realtà è molto più eccitante e sorprendente di qualsiasi finzione e va oltre ogni immaginazione. Il grande contributo di Matteo Ricci alla storia del genere umano deve ancora essere apprezzato nella sua interezza, essendo la sua vita stessa un gioiello dalle mille sfaccettature, che moltiplica da luce che riceve da ogni angolo lo si guardi.
Qui ci concentreremo principalmente su uno dei numerosi aspetti delle attività e dei talenti di Matteo Ricci: la sua abilità di comunicazione (“da P.R.” diremmo oggi) e la sua capacità di combinare le due culture (occidentale e cinese) in un sistema capace di coniugare ambedue le immense tradizioni: i Classici Romani e i Classici Cinesi. Matteo Ricci era, nel suo campo, un uomo del Rinascimento, alla stregua di Michelangelo e Leonardo da Vinci per le Arti e le Scienze. Era portato per le Arti (Belle Arti, Scienze Naturali, Letteratura Classica occidentale, e Musica) ma anche in altre discipline: sapeva come stampare libri, riparare orologi e pendoli, costruire case e si intendeva di agricoltura. Senza menzionare il suo sapere concernente le religioni e le Sacre Scritture.
Può essere considerato a tutti gli effetti un “uomo enciclopedico”, come tanti prima di lui hanno aspirato ad essere (Dante Alighieri, Pico Della Mirandola, Giordano Bruno tra gli altri). Si trovava a proprio agio sia presso la Corte Imperiale di Pechino, sia nella più umile casa di qualsiasi comune cinese.
Tale straordinarietà era dovuta al suo generoso temperamento e al carattere innato, ma anche al suo rigore e alla educazione d’alto livello che ricevette alle scuole di Macerata, la sua città natìa, e a Roma, al Collegio dei Gesuiti (al tempo la culla delle migliori menti d’Europa).Al Col
legio Romano imparò infatti i Classici e le discipline regolari, nonchè le più raffinate e segrete capacità dell’ “arte della memorizzazione”.
Noi lasceremo parlare le tecniche e la storia dell’ “arte delle arti” attraverso i grandi lavori di Spence e della Yates.
Il nostro obiettivo, qui, è dare accenni su come Matteo Ricci potesse avere preparato un sistema di memorizzazione (per vari scopi: dall’apprendere la cultura cinese, al trasmettere i valori della religione cristiana) adattabile alle menti dei suoi discepoli cinesi, e a cosa quel sistema potesse somigliare.
L’arte della memorizzazione è, di fondo, un sistema ricomprendente l’Universo nei suoi innumerevoli aspetti.
L’Universo, inafferabile agli occhi del profano, è coerente nelle menti dei pochi dotati che possano afferrarne il meccanismo e le relazioni fra i suoi elementi. L’importanza di Confucio nella tradizione cinese è paragonabile all’importanza di una catena di studiosi occidetali iniziati alla cosiddetta affiliazione “neo-platonica”, cui Matteo Ricci era manifestatamente interessato.
L’arte della memorizzazione è principalmente la costruzione di un “palazzo virtuale” nella mente dell’adepto.
Relazionandola agli insegnamenti dell’Antica Grecia, dell’Antica Roma e del Medioevo, così come organizzata da studiosi quali Cicerone e San Tommaso, la disciplina prevede la visualizzazione di stanze, o spazi, riempiti di oggetti o immagini collegati a concetti e parole.
Ciascuna stanza può essere collegata alle stanze per consequenzialità o per affinità. Un esempio: ancora oggi, in Italia, gli studenti di medicina ricordano i nomi delle ossa della mano immaginando la seguente sequenza: “una barca a forma di semiluna arriva alla Piramide di Pisa portando a bordo un trapezio, un trapezoide, e una testa appesa ad un uncino”.
L’indovinello simbolico rimanda semanticamente alle seguenti parole:
- barca = Scafoide
- semiluna = Semilunare
- Piramide = Piramidale
- Pisa = Pisiforme
- trapezio = Trapezio
- trapezoide = Trapezoide
- testa = Capitatouncino
- = Uncinato
Al tempo di Matteo Ricci la pratica suddetta era comune e gli studenti erano soliti applicarla ad ogni disciplina da studiare, creando catene e enigmi a ripetizione e facendoli corrispondere, col passare degli anni, ad ben organizzate ed effettive strutture mentali: è molto più semplice per il pensiero andare avanti e indietro, percorrere corridoi e stanze pianificate, sulla base di una planimetria conosciuta, piuttosto che errare in un disordinato labirinto senza fine.
Potremmo dire che cotale sistema sia l’antesignano di un “videogame” mentale: l’intenzione finale è, ad ogni modo, completamente differente. L’arte della memorizzazione è lo sforzo di allineare la mente con l’armonia dell’Universo, seguendo le stesse regole dettate in illo tempore dalla Mente Divina.
Sfortunatamente Matteo Ricci non lasciò ai posteri una descrizione dettagliata del Palazzo della Memoria costruito nella sua mente durante gli anni trascorsi in Cina.
Nel suo libro sulla memoria egli lasciò solo scarne indicazioni di taluni contenuti, a loro volta fonte di ispirazione del libro di Jonathan Spence: principalmente sunto di idee e immagini mentali, ma lontano dal quel palazzo virtuale aspirante ad essere lo specchio del Creato.
Sappiamo, inoltre, che Matteo Ricci insegnò l’arte della memorizzazione ad alcuni candidati agli esami di Mandarinato, tra cui spicca Xu Guanqi stesso, il quale – come sappiamo – ne conseguì straordinario successo.
Ricci certamente ammobiliò un “Palazzo della Memoria” al fine di consentirgli la memorizzazione delle migliaia di caratteri cinesi che più tardi l’avrebbero abilitato a divenire un riverito studioso cinese. Probabilmente usò nuove idee, immagini, concetti in un “Palazzo della Memoria” già presente nella sua mente dagli anni del suo apprendistato a Roma.
Ricci ha certamente dato a Xu Guanqi e ai suoi altri studenti le tecniche per costruire nuovi Palazzi della Memoria e forse le “chiavi celestiali” per aprire il suo stesso palazzo virtuale. L’arte classica della memorizzazione raccomanda effettivamente che ognuno formi un proprio palazzo della memoria con segni, connessioni e immagini personalizzate.
Ma le regole per la sua costruzione dovrebbero essere le stesse per tutti.
Potremmo allora procedere per ipotesi.
Matteo Ricci certamente conosceva i procedimenti di Giulio Camillo Delminio, uno studioso italiano che fu una delle più famose e celebrate figure d’Europa nel XVI secolo.
Giulio Camillo aveva creato un “palazzo della memoria” con la forma della gradinata di un teatro, basata sul numero “7” e i suoi multipli.
Questo palazzo virtuale conteneva 49 scatole, o stanze, correlate da passaggi e corridoi; era in sostanza un “quadrato magico” composto da 7 file di 7 stanze, ciascuna dotata di una porta/arco, disegnato con varie immagini e riempito con simboli e abitanti virtuali.
Il numero 7, numero magico secondo la tradizione occidentale, corrisponde ai 7 pianeti principali che influenzano gli esseri umani sulla terra: da sinistra a destra, la Luna, Mercurio, Venere, il Sole, Marte, Giove, Saturno.
Giulio Camillo divisò un sistema mistico in 49 stanze, costruite orizzontalmente e verticalmente, seguendo un complesso gioco di corrispondenze esoteriche e astrologiche: il suo lavoro fu considerato un puro tesoro, studiato da Re e uomini di Corte in tutta Europa.
Ricci venne alla luce poche decadi dopo la morte di Giulio Camillo e aggiunse un vasto obiettivo religioso e missionario a quello del sistema filosofico di Giulio Camillo: l’evangelizzazione della Cina. Per “diffondere il Verbo [1]” Matteo Ricci doveva includere il Vangelo nel Palazzo della Memoria.
Una possibile traccia di come la scelta di Matteo Ricci fosse caduta proprio sul sistema di Giulio Camillo basato sulle 49 stanze, ci viene dalle raccomandazioni agli studenti formulate dai Padri della Chiesa: “quando memorizzate, pregate”; imprescindibile è la rimembranza delle parole della preghiera del “Padre Nostro”, composta personalmente da Gesù Cristo, come dice il Vangelo.
Abbiamo scoperto che questa preghiera contiene esattamente 49 parole latine, alcune delle quali non sono, a rigore, necessarie e ridondanti per la sintassi del testo, come alcune preposizioni (“sicut et nos dimittimus”…etc).
Ciò significa che il misterioso sistema di memorizzazione per i giovani cattolici era basato su un palazzo di 49 stanze, ciascuna collegata alle altre dalle parole del “Padre Nostro”, come i grani di un rosario.
Abbiamo riempito perciò il palazzo di Giulio Camillo con le parole di quella preghiera, inziando dalla base (il piano più basso) e procedendo verticalmente, colonna per colonna, da sinistra a destra.
Poi abbiamo tradotto in caratteri cinesi le lettere latine e formato “famiglie” di caratteri collegati per significato o per ripetizioni di alcuni componenti.