cesare pavese

La casa sconosciuta di Cesare Pavese

VISITA AL LUOGO CHE RAPPRESENTA L’URTO PIƯ IMPORTANTE NELL’ESISTENZA DI UN GRANDE SCRITTORE

“Credere alle cose vuol dire lasciar sussistere
qualcosa dopo la propria morte,
e avere, in vita, la soddisfazione di venire a contatto
con ciò che sussisterà ancora dopo di noi.”
(Cesare Pavese-Il mestiere di vivere-5 Febbraio 1939)

Ha persino rischiato di essere demolita, la casa nella quale, nel 1935, Cesare Pavese trascorse il confino a Brancaleone Calabro. Dimenticata e lasciata in uno stato di abbandono a lungo, questa abitazione conserva ancora il letto, la scrivania, la lampada a carburo, l’umidità sui pavimenti e la solitudine dello scrittore.

Il comune di Brancaleone ha dato la cittadinanza onoraria a Golia, un esemplare di Caretta Caretta tra i tanti che schiudono le uova sul bellissimo litorale dei gelsomini, ma non si era preoccupato di affiggere una targa sulla porta della casa dello scrittore, per ricordare una presenza così importante in paese. Qui, è più facile puntare sulla festa della madonna del Carmelo che “credere alle cose”che sussistono nel tempo.

In questi settantaquattro anni, nessuno si è impegnato per riconoscere alla casa, il valore emblematico di luogo cardine di un’esistenza. Persino durante il cinquantenario e il centenario pavesiano (2008), si è dovuta ignorare la possibilità di accedere a questa risorsa.

Ma gli abitanti non dimenticano “u professuri” ed è per strada che ti indicano dove devi andare. E’ nei bar che si ricorda Cesare Pavese. La gente di questo posto è ancora quella descritta dall’autore, “di un tatto e di una cortesia che hanno una sola spiegazione: qui una volta la civiltà era greca”(Lt I, pag 88).

Così, puoi bussare ad una porta e scommettere in un invito a pranzo, per sentire com’è l’odore delle alici fritte nelle stanze dove visse Cesare Pavese e per ritrovare i segni di un destino nelle cose.
Acquistata da un privato solamente di recente, la villetta è ora, fortunatamente, in via di ristrutturazione.

A pochi passi dal Bar Roma, dove Cesare Pavese andava a leggere il giornale, la casa viene scavalcata dai binari che si stendono di fronte al mare.
Dalla porta-balcone del giardino, si accede alla camera di Pavese.

Le cose sono ancora vive e conservano la sua presenza.

La finestra, la scatola dei libri che gli venivano inviati dalla sorella, la lampada, la lanterna arrugginita. Tutto rivive ed è illuminato dagli aneddoti raccontati dagli abitanti di Brancaleone. Dicono che Pavese pagasse dei bambini affinché schiacciassero gli scarafaggi in casa. Riportano la testimonianza dell’ultimo che lo conobbe in paese: un signore da poco deceduto, che ricevette ripetizioni di latino dallo scrittore. Questo piccolo allievo era stupito che il suo insegnante fosse l’uomo giunto in manette in paese.

Per capire l’importanza che ha questo luogo per la cultura italiana e internazionale, basti pensare che proprio su questa scrivania, Cesare Pavese iniziò a scrivere Il mestiere di vivere- diario che va dal 1935 al 1950. Il diario raccoglie le riflessioni dell’autore fino a pochi giorni prima della sua risoluzione al suicidio. L’esperienza in Calabria si riversa in molte delle sue opere e soprattutto, nel suo primo romanzo: Il carcere.

Brancaleone è la meta necessaria, il termine di mezzo utile per la mitizzazione del luogo sacro- quello natio delle Langhe. Brancaleone è l’avvio di una crisi esistenziale che precipiterà nel triste destino dello scrittore.

LA STORIA

Il 15 maggio 1935, Cesare Pavese viene condannato a tre anni di confino in Calabria. Ma si sono sbagliati. Pavese non è l’uomo delle rivoluzioni violente. Combatte il grigiore delle coscienze introducendo nuove prospettive in Italia, attraverso la traduzione dei capolavori stranieri e l’Antologia americana- curata da Elio Vittorini . Ma Pavese è innocente. Non è impegnato attivamente nell’antifascismo. La lettera di un carcerato, trovata durante la perquisizione tra le sue carte, è indirizzata a Tina Pizzardo, la donna che lo scrittore sceglie di coprire, fino a farsi condannare. La donna che ama- ma che al suo ritorno dopo un anno, avrà già sposato un altro.

Cesare Pavese giunge così, a Brancaleone il 4 agosto. Il mare delimita l’orizzonte: è “la quarta parete” della sua prigione. La natura selvaggia e oracolare mostra “il dio incarnato …in questo luogo”. Le “rocce rosse lunari” di quei posti, non esprimono nulla che gli appartenga, che gli sia nel sangue.

La permanenza in Calabria sancisce il passaggio dalla lirica alla prosa. Nasce così Stefano, il protagonista de Il carcere- controfigura di Cesare Pavese che ci racconta la vicenda interiore dei suoi giorni da confinato. La forbice che si crea tra personaggio e scrittore si stringe attorno al comune senso di prigionia ineludibile. Il fascino per la donna caprina, selvaggia, il concetto di vita possibile solamente nella memoria. L’inamovibilità, l’assenza della spinta all’ azione, le cose che accadono, il destino, la superstizione, la solitudine.

Un libro assolutamente da leggere. A Brancaleone Calabro.