vienna

Dieci manifestazioni a Vienna

Dieci eventi caratterizzeranno a Vienna, da domani, 15 ottobre al 25, la IX Settimana della lingua italiana nel mondo, una iniziativa promossa dall’Accademia della Crusca e dal Ministero degli Affari Esteri che ha per tema “La lingua italiana tra arte scienza e tecnologia” e che si tiene nei 90 Istituti Italiani di Cultura sparsi per il mondo, nelle Ambasciate, nei Consolati, nelle sedi della Dante Alighieri, inserita quest’anno nel quadro delle celebrazioni del “2009 Anno Europeo della creatività e dell’innovazione”, indetto dalla Commissione Europea.

Il primo evento si terrà domani, 15 ottobre, alle ore 19.00, presso la Sala Grande dell’Istituto Italiano di Cultura, e sarà dedicato al linguaggio dell’arte e del teatro.

Dopo il successo del “Festival Europeo della Poesia”, che ha visto la partecipazione di 20 poeti di 14 paesi, l’Istituto Italiano di Cultura di Vienna presenta un altro progetto Europeo che coinvolge questa volta 27 giovani drammaturghi di tutti i Paesi dell’Unione Europea e 27 giovani scenografi dell’Accademia di Belle Arti di Roma. Con il patrocinio dell’Ambasciata d’Italia e del Ministero austriaco degli Affari Europei ed Internazionali, si inaugurerà infatti una mostra di bozzetti di scenografie di 27 atti unici pubblicati nell’antologia “L’Europa sulla scena” curata da Dante Marianacci e Joseph Farrell e pubblicato dalla Fondazione Salvatore Quasimodo. I 60 bozzetti che verranno esposti nella Sala Grande dell’Istituto, sono stati realizzati dagli allievi della cattedra di scenografia dell’Accademia di Belle Arti di Roma, diretta dal Prof. Nicola Giuseppe Smerilli, già noto al pubblico austriaco per alcune sue importanti mostre fotografiche, come “Odisseo nel vento” e “Volti e cammini d’Italia”.

Nel corso della serata, a cui saranno tra l’altro presenti S.E. l’Ambasciatore d’Italia, Massimo Spinetti, la Dott.ssa Claudia Rochel Laurel, Capo dipartimento della sezione culturale del Mininistero austriaco degli affari europei ed internazionali, il Prof. Nicola Giuseppe Smerilli, l’attore Gianfranco Licandro, un italiano trapiantato a Vienna da qualche decennio, leggerà, in italiano e in tedesco, l’atto unico dell’autrice austriaca Gerhild Steinbuch, che sarà presente alla manifestazione insieme ad una nutrita rappresentanza di allievi dell’Accademia di Belle Arti di Roma. L’evento rappresenta un felice incontro di giovani attraverso le lingue, l’arte e il teatro, e si inserisce in un ampio progetto di valorizzazione di nuovi talenti europei che l’Istituto Italiano di Cultura di Vienna sta sviluppando, anche, tra l’altro, con “I lunedì musicali italiani”.

Venerdì, 16 ottobre, alle ore 11.00 si terrà la cerimonia di premiazione del concorso di pittura “Artisti e Scienziati d’Italia”, organizzato dall’Istituto con la collaborazione dell’Enit di Vienna, diretta da Gaetano Manzo, del Ministero Austriaco dell’Istruzione e riservato a tutti gli allievi delle scuole primarie e secondarie austriache in cui si insegna la lingua italiana.

Nel corso della manifestazione, a cui parteciperanno centinaia di studenti insegnanti e genitori, verrà inaugurata la mostra “Artisti e Scienziati d’Italia” e verranno consegnati, dal direttore dell’Enit di Vienna, Dott. Gaetano Manzo, e dal direttore dell’Istituto Italiano di Cultura, premi agli autori dei cento disegni selzionati per la mostra. Al primo classificato verrà assegnato un viaggio premio di quattro giorni in una città italiana. La mostra, che resterà aperta in Istituto per un paio di settimane, diventerà poi itinerante e verrà ospitata in tutte le scuole che ne faranno richiesta.

Lunedì, 19 ottobre, nella Sala Dante dell’Istituto, con inizio alle ore 10.30 si terrà il convegno internazionale “Arte e scienza nella letteratura italiana del Novecento”, Aprirà i lavori il Pof. Giorgio Patrizi, dell’Università del Molise, che terrà la relazione introduttiva sulla presenza dell’arte e della scienza negli autori più rappresentativi del nostro Novecento letterario. Seguirà Margit Luckaci, dell’Università Cattolica di Budapest, che affronterá il tema “Arte e scienza in Pirandello”; Donato Sciacovelli, del Polo Universitariodi Szombathely, tratterà di “Scienza e fantascienza:modi e ragioni dell’invenzione fantastica in Calvino e Benni”; “Guido Gozzano e il ruolo del poeta nella nuova società capitalistica” sarà il tema della relazione di Rina Gambini, presidente del Centro Culturale Il Porticciolo;

Dagmar Reichardt, dell’Università di Groningen, parlerà di “Giuseppe Bonaviri e le scienze in versi e in prosa”; “Il letterato e il chimico:problemi di stile in Primo Levi”, sarà il tema della relazione di Joseph Farrell, della Stathclyde University di Glasgow; Renate Lunzer, dell’Università di Vienna, terrà un intervento su “L’uomo moltiplicato dalle parti incambiabili – Le utopie tecniciste di Marinetti”. Sarà poi la volta di Andrea Casoli, dirigente editoriale, che parlerà “Il quadro incompiuto: autoritratto di Arturo Loria come pittore”; “Carlo Emilio Gadda, l’ingegnere giallista”, sarà il tema della relazione di Alfred Noe, dell’Università di Vienna. La giornata del 19 si concluderà con un ricco concerto del cantante d’opera Martino Hammerle Bortolotti, accompagnato al pianoforte da Sarka Králová, che eseguirà tra l’altro arie di Rossini, Mozart eVerdi.
La sera del 20, alle ore 19.00, il Prof. Joseph Farrell, terrà una commemorazione di Leonardo Sciascia nel ventennale della morte, a cui farà seguito la proiezione del film di Gianni Amelio “Porte aperte”, tratto dall’omonimo romanzo dello scrittore siciliano.

Il giorno 21, alle ore 19.00, si terrà un concerto cameristico organizzato in collaborazione con l’Istituto Nazionale Tostiano, con la partecipazione di Alberto Mammarella, Roberto Rupo, Alba Riccioni e Paolo Speca, che eseguiranno famose arie di Francesco Paolo Tosti e di Franz Schubert.

Tre saranno infine gli eventi che caratterizzeranno la serata di giovedì, 22 ottobre, con inizio alle ore 19.00: l’inugurazione della mostra “Guglielmo Marconi, il pioniere delle radiocomunicazioni, Premio Nobel per la fisica 1909”, organizzata in collaborazione con la Fondazione Guglielmo Marconi e la Regione Emilia Romagna, alla quale farà seguito una conferenza del Prof. Carlo Barbieri sul “Codice Atlantico di Leonardo”, uno dei documenti più importanti per comprendere lo straordinario mondo leonardesco. Presso la galleria Area 53 di Vienna, verrà infine inaugurata la mostra “Passo carrabile” degli artisti italiani Fabrizio Bellanca, Marco Besana, Filippo Borella, Andrea Borgonovo, Marco Brenna, Enrico Cazzaniga, Matteo Galvano e Simona Muzzeddu. La mostra poi, arricchita anche delle pittoriche di Antonio Marinelli, dal 16 dicembre al 7 gennaio 2010 verrà ospitata dall’Istituto Italiano di Cultura.


sol levante

Impressioni del Sol Levante

mostra, conferenze, laboratori, cerimonia del tè
promosso da Biblioteca Internazionale Ilaria Alpi
Istituzioni Biblioteche del Comune di Parma

Matsuri, i riti-festa del Giappone
mostra fotografica di Monica Cavagni
Parma, 3-30 ottobre 2009 – orari apertura biblioteca
Biblioteca internazionale Ilaria Alpi, vicolo Delle Asse, 5
I matsuri, nome che indica le molteplici festività rituali shintoiste che si svolgono in ogni occasione dell’anno, si contano a migliaia sul territorio giapponese.
Nel corso di un prolungato soggiorno in Giappone Monica Cavagni ha potuto seguire con sguardo curioso e acuto alcune di queste sorprendenti e vivacissime manifestazioni popolari nipponiche. Le foto esposte forniscono una preziosa testimonianza della vitalità contemporanea dei riti-festa attorno ai quali il popolo nipponico ancora si riconosce e rispecchia.

Raccontamelo in giapponese
narrazioni per l’infanzia in lingua giapponese
in collaborazione con Associazione Manekineko
3 ottobre 2009 – ore 17
Biblioteca internazionale Ilaria Alpi
In questo incontro della durata di circa un’ora verranno letti, prima in giapponese e poi in italiano, alcune storie tratte da libri illustrati giapponesi per l’infanzia. I bambini verranno invitati ad ascoltare il suono della lingua giapponese e a familiarizzare un po’ con alcune sue parole. Finite le letture seguirà un breve laboratorio sulla scrittura giapponese. I piccoli partecipanti scopriranno un modo nuovo di scrivere e, chi vorrà, potrà portare con sé una T-shirt su cui scrivere il proprio nome in giapponese!

L’arte del Chigirie
Laboratorio in collaborazione con la comunità giapponese di Parma
8 ottobre 2009 – ore 10
Laboratorio per la realizzazione di immagini d’arte con la carta di riso “strappata”.

Il Giappone tra le pieghe
laboratori di origami
8 ottobre 2009 – ore 17
La nascita dell’origami coincide probabilmente con la nascita della carta. In Giappone l’arte di piegare la carte ha dato luogo a forme d’arte altissime ma anche a pratiche divertenti e ricreative.

Cha no yu: l’essenza del vuoto
cerimonia del tè con degustazione
con la maestra Yoko Shimada
10 ottobre 2009 – ore 15,30 e 17
presso la CittàSiNota, vicolo del Medio Evo, 7 (Piazza Duomo)
La cerimonia del tè – cha no yu –, raffinata pratica giapponese definitasi nelle forme attuali oltre 500 anni fa, è un momento di pacata ed elegante bellezza, di condivisione profonda tra i partecipanti in cui l’azione di preparare, offrire e ricevere il tè si trasfigura in un atto di contemplazione e consonanza con il sé e con il cosmo. Ogni movimento nella cerimonia è molto preciso e risponde ad una funzione specifica: gesti secolari, parole codificate, ringraziamenti, attenzione per l’utilizzo degli utensili e cura per l’ospite. Il suo fine è rilassare ed intrattenere piacevolmente e la forza espressiva e la bellezza dei gesti e degli oggetti sono ispiratori di tranquillità e armonia. La maestra Yoko Shimada è esponente di una delle più antiche e importanti scuole di cerimonia del tè, la Omotesenke, giunta con il capofamiglia Jimyosai Sosho alla XIV generazione.

Lettere giapponesi
Ciclo di 3 conferenze
13, 22 e 29 ottobre 2009 – ore 17,30
Biblioteca Internazionale Ilaria Alpi, vicolo Delle Asse, 5
Lettere giapponesi offre una panoramica introduttiva sul ricchissimo universo letterario giapponese con particolare riferimento alla poesia tradizionale, alla letteratura contemporanea e per l’infanzia.

13 ottobre ore17.30
Haiku: l’arte del silenzio
incontro con Ikuko Sagiyama (Università di Firenze)

22 ottobre ore 17.30
Silhouettes in black: l’ombra del giallo nella scrittura femminile del Giappone contemporaneo
incontro con Paola Scrolavezza (Università Ca’ Foscari di Venezia)

29 ottobre ore 17.30
Fiabe giapponesi fra passato e presente
incontro con Maria Elena Tisi (Università di Bologna)

Laboratorio di arte calligrafica shodo
Laboratorio in collaborazione con la comunità giapponese di Parma
24 ottobre 2009 – ore 10
Laboratorio pratico per incontrare la raffinata arte giapponese della scrittura.

Kimono. La cultura del vestire
dimostrazione con la Maestra Sachiko Yamaguchi
24 ottobre 2009 – ore 17,30
presso la CittàSiNota, vicolo del Medio Evo, 7 (Piazza Duomo)
La parola kimono significa semplicemente cosa da indossare, ossia abito. La semplicità del suo nome, però, nasconde una cultura del vestire antica, raffinata e ricca di varianti e sfumature. Il kimono ha una foggia standard a forma di “T” ed è abito sia maschile che femminile: se la forma è sempre costante numerose e varie sono le proporzioni e le decorazioni che i suoi elementi costitutivi possono avere.Nelle decorazioni e nelle tecniche di ricamo, poi, i kimono mostrano tutta la loro straordinaria magnificenza. Accessori e pratiche di vestizione completano la complessità di oggetti che spesso sono vere e proprie opere d’arte.
La maestra Yamaguchi, vincitrice del premio d’oro nel concorso di vestizione delle regioni Tōkai e Hokushin-etsu, oltre a dimostrare come un kimono si indossi, fornirà informazioni sulla storia di questo abito e sui significati culturali che lo caratterizzano.

Info:
Biblioteca Internazionale Ilaria Alpi
Vicolo Delle Asse, 5 – Parma
Tel: 0521 031984


norvegia

Giornate italonorvegesi a Sandrigo nel Vicentino

Dal 24 al 27 settembre si sono svolte nelle piazze di Sandrigo, ridente cittadina del Vicentino, le “Giornate Italo Norvegesi – Festa del Baccalà”, una manifestazione con degustazioni, stand gastronomici, spettacoli e mostre.
Ogni anno, a settembre, nella piazza principale della cittadina si allestisce uno stand gastronomico nel quale cuochi volontari preparano bacalà alla vicentina, secondo l’antica ricetta.
Il pesce proviene da Røst, una cittadina norvegese situata nelle isole Lofoten con cui il Comune di Sandrigo si è ufficialmente gemellato nel 2001. Un’isola delle Lofoten è stata chiamata Sandrigøya, cioè isola di Sandrigo, mentre una piazza di Sandrigo è stata dedicata a Røst.

Furono gli abitanti di Røst a dare ospitalità nel gennaio 1432 al mercante e navigatore veneziano Pietro Querini ed ai sedici marinai sopravvissuti al terribile naufragio del veliero con il quale trasportavano mercanzie. Gli abitanti delle isole Lofoten da allora hanno sempre nutrito una grande riconoscenza verso Pietro Querini, soprattutto per essere stato il primo a portare lo stoccafisso in Italia.
La popolazione dell’isola di Røst, che i veneziani chiamarono Rustene, era dedita alla pesca e all’essiccazione del merluzzo. I veneziani rimasero circa quattro mesi nell’isola, e Querini scrisse una dettagliata relazione per il Senato, oggi conservata nella Biblioteca Apostolica Vaticana:
« Per tre mesi all’anno, cioè dal giugno al settembre, non vi tramonta il sole, e nei mesi opposti è quasi sempre notte. Dal 20 novembre al 20 febbraio la notte è continua, durando ventuna ora, sebbene resti sempre visibile la luna; dal 20 maggio al 20 agosto invece si vede sempre il sole o almeno il suo bagliore…gli isolani, un centinaio di pescatori, si dimostrano molto benevoli et servitiali, desiderosi di compiacere più per amore che per sperar alcun servitio o dono all’incontro…vivevano in una dozzina di case rotonde, con aperture circolari in alto, che coprono con pelli di pesce; loro unica risorsa è il pesce che portano a vendere a Bergen. (…) Prendono fra l’anno innumerabili quantità di pesci, e solamente di due specie: l’una, ch’è in maggior anzi incomparabil quantità, sono chiamati stocfisi; l’altra sono passare, ma di mirabile grandezza, dico di peso di libre dugento a grosso l’una. I stocfisi seccano al vento e al sole senza sale, e perché sono pesci di poca umidità grassa, diventano duri come legno. Quando si vogliono mangiare li battono col roverso della mannara, che gli fa diventar sfilati come nervi, poi compongono butiro e specie per darli sapore: ed è grande e inestimabil mercanzia per quel mare d’Alemagna. Le passare, per esser grandissime, partite in pezzi le salano, e cosí sono buone (…). » (P. Querini)

Nella mattinata di domenica 27 settembre nella centrale Piazza Matteotti di Sandrigo ha avuto luogo la cerimonia di investitura dei nuovi confratelli della Venerabile Confraternita del Baccalà alla Vicentina, un sodalizio che fu fondato nel 1987 dall’avvocato Michele Benetazzo e che annovera tra i suoi confratelli anche Il ministro delle politiche agricole alimentari e forestali, Luca Zaia.

All’appuntamento di quest’anno era presente una delegazione di circa 80 norvegesi, tra cui una trentina di produttori di stoccafisso, guidata dal sindaco di Røst, Arnfinn Ellingsen, e dal diplomatico norvegese Petter Johannessen, protagonista della Spedizione Oltre e pronipote del grande esploratore norvegese Roald Amundsen.

A testimoniare l’alta importanza che l’annuale Festa del Baccalà rappresenta per lo scambio culturale tra Italia e Norvegia a Sandrigo c’era anche il Direttore dell’Istituto Italiano di Cultura di Oslo, Dott. Sergio Scapin, che ha potuto incontrare oltre al sindaco di Røst anche il Provveditore agli Studi di Røst, Sig.ra Tove Andreassen, con la quale ha gettato le basi per una futura collaborazione per la promozione della lingua e cultura italiana, e numerosi altri componenti della delegazione norvegese nonché lo storico e scrittore vicentino Otello Fabris, che sta lavorando ad una pubblicazione sulla storia del baccalà tra le Isole Lofoten e il Vicentino.

In occasione della cerimonia è stato presentato il nuovo libro di Andrea Cera “Ultimo viaggio a Rostene” (Edizioni Del Noce), romanzo storico su una spedizione da Venezia alle isole Lofoten alla ricerca dell’ambra grigia e del fantasma di un marinaio disperso nel “Mar d’Alemagna” attraverso l’Europa del XV secolo, sul finire della Guerra dei Cent’anni …

Alcune foto della cerimonia ufficiale delle giornate italo norvegesi a Sandrigo, 27 settembre 2009: http://www.iicoslo.com/Sandrigo/


roberto papetti

I giocattoli per capire arte scienza e tecnologia

In occasione della IX settimana della Lingua Italiana nel mondo, l’Ufficio Scuola del Consolato di Belo Horizonte, in Brasile, ha organizzato un serie di iniziative con la presenza del Ludotecario ravennate Roberto Papetti. Presso la scuola italo-brasiliana Fondazione Torino, grazie al contributo delle case editrici Artebambini di Bazzano ed Editoriale Scienza di Trieste, sarà effettuata una mostra di libri didattici sull’arte e sulle scienze e un corso di formazione per docenti sul tema:

I GIOCATTOLI COME STRUMENTO DI EDUCAZIONE ALLA SCIENZA, ALL’ARTE E ALLA CREATIVITÀ

Conduttore: Roberto Papetti
Luogo: Fondazione Torino – Scuola Biculturale e bilingue italo-brasiliana
Data: 5 – 19 ottobre 2009 presso Fondazione Torino

Il calendario degli appuntamenti

· Martedí 6 ottobre 2009 ore 16,00 – Incontro con Roberto Papetti su COSTRUIRE INSIEME UNA MAPPA LOCALE (rivolto ai coordinatori del Progetto per la realizzazione della GUIDA DI BELO HORIZONTE in Italiano)

· Martedí 6 ottobre 2009 ore 19,30: Presentazione dei libri del Dirigente Scolastico Eugenio Scardaccione TU BOCCI. IO SBOCCIO – Edizioni Meridiana (Molfetta) e TU SECCHI. IO FIORISCO. Sogni, viaggi e ricordi di un educatore impertinente Ed Progedit. Sarà presente l’autore (Incontro a cura dell’Istituto Biaggi presso Socrates – Momo Café – Savassi)

· Mercoledí 7 ottobre 2009 ore 16,00 – Inaugurazione Mostra “FRA ARTE E SCIENZA – Per una didattica dell’arte e della scienza”. Presentazione dei libri didattici sulle scienze e l’arte con la presenza di RobertoPapetti, autore dei due libri: La scienza in altalena (Editoriale Scienza) e Tintinnabula, giocattolo museo (Edizioni Artebambini)

· Giovedí 8 ottobre 2009 ore 16,00 – Incontro di Formazione specificatamente per docenti primaria: LA SCIENZA IN ALTALENA: le regole scientifiche nei giocattoli dei bambini

· Venerdí 9 ottobre 2009 ore 16,00 – Incontro Formazione specificatamente docenti infanzia: ARTE E CREATIVITÁ ALLA SCUOLA D’INFANZIA

· Mercoledí 14 ottobre 2009 ore 16,00 – Incontro di Formazione specificatamente per docenti media: IL MOSAICO BIZANTINO: STORIA, CULTURA, DIDATTICA nella esperienza di Ravenna

· Giovedí 15 ottobre 2009 ore 16,00 – Incontro di Formazione specificatamente per docenti superiori: LA FESTA AL P GREGO – IL 3,14, FRA FILOSOFIA E MATEMATICA

· Venerdí 16 ottobre: Laboratori pratico su GIOCO, ARTE E SCIENZA in tre turni con orario:
1º turno > 08,30 – 10,30
2º turno > 11,00 – 12,30
3º turno > 14,00 – 15,30

Chi è Roberto Papetti – A Ravenna, Roberto Papetti è l’anima del Centro La Lucertola, una Ludoteca del Comune di Ravenna che si autodefinisce “Laboratorio di Gioco Natura Creatività” . Alla Lucertola si coordinano le attività di educazione ambientale, scienza, gioco, arte e paesaggio, diritti dei bambini. Sono i temi che Roberto Papetti affronta attraverso laboratori formativi, i laboratori scolastici, e le iniziative rivolte sia ai bambini che alle scuole, come sono ad esempio le feste pubbliche e le pubblicazioni.

Roberto Papetti ha però una particolarità: non spiega il gioco, non parla di l’ecologia e di arte, ma lavora per il gioco e costruendo giocattoli, gioca facendo vivere l’ecologia nel concreto, produce e stimola i ragazzi a produrre arte. Non è un educazione agli alunni ma con gli alunni. In ambito educativo ecologia ed ambiente non sono quindi limitati ad una consapevolezza di dati biologici e geografici, ma è piuttosto il vivere e capire le relazioni tra comportamenti umani ed ecosistemi, responsabilità e difesa di ogni organismo vivente.

Vivere il gioco, poi, non è solo per Papetti, difesa di un diritto negato ma riconquista di spazi, tempi di gioco, strumenti e ripresa di una tradizione. In ambito artistico, l’arte è vista non solo come consapevolezza di giacimenti storico-culturali ma come ricerca di una estetica del vivere, che nasca dalle emozioni degli incontri. Durante la sua permanenza in Brasile, Roberto Papetti fará diversi interventi di tipo formativo, con proposte anche di laboratorio pratico.
Al suo attivo diversi libri, fra cui:

Piccoli gesti di ecologia
Giocattoli del mondo
Giocattoli creativi
Tintinnabula: giocattolo museo

Per ulteriori informazioni su Roberto Papetti: http://www.racine.ra.it/lucertola
Per le Edizioni Artebambini: http://www.rivistadada.it
Per le Edizioni Editoriale Scienza: http://www.editorialescienza.it


cesare pavese

La casa sconosciuta di Cesare Pavese

VISITA AL LUOGO CHE RAPPRESENTA L’URTO PIƯ IMPORTANTE NELL’ESISTENZA DI UN GRANDE SCRITTORE

“Credere alle cose vuol dire lasciar sussistere
qualcosa dopo la propria morte,
e avere, in vita, la soddisfazione di venire a contatto
con ciò che sussisterà ancora dopo di noi.”
(Cesare Pavese-Il mestiere di vivere-5 Febbraio 1939)

Ha persino rischiato di essere demolita, la casa nella quale, nel 1935, Cesare Pavese trascorse il confino a Brancaleone Calabro. Dimenticata e lasciata in uno stato di abbandono a lungo, questa abitazione conserva ancora il letto, la scrivania, la lampada a carburo, l’umidità sui pavimenti e la solitudine dello scrittore.

Il comune di Brancaleone ha dato la cittadinanza onoraria a Golia, un esemplare di Caretta Caretta tra i tanti che schiudono le uova sul bellissimo litorale dei gelsomini, ma non si era preoccupato di affiggere una targa sulla porta della casa dello scrittore, per ricordare una presenza così importante in paese. Qui, è più facile puntare sulla festa della madonna del Carmelo che “credere alle cose”che sussistono nel tempo.

In questi settantaquattro anni, nessuno si è impegnato per riconoscere alla casa, il valore emblematico di luogo cardine di un’esistenza. Persino durante il cinquantenario e il centenario pavesiano (2008), si è dovuta ignorare la possibilità di accedere a questa risorsa.

Ma gli abitanti non dimenticano “u professuri” ed è per strada che ti indicano dove devi andare. E’ nei bar che si ricorda Cesare Pavese. La gente di questo posto è ancora quella descritta dall’autore, “di un tatto e di una cortesia che hanno una sola spiegazione: qui una volta la civiltà era greca”(Lt I, pag 88).

Così, puoi bussare ad una porta e scommettere in un invito a pranzo, per sentire com’è l’odore delle alici fritte nelle stanze dove visse Cesare Pavese e per ritrovare i segni di un destino nelle cose.
Acquistata da un privato solamente di recente, la villetta è ora, fortunatamente, in via di ristrutturazione.

A pochi passi dal Bar Roma, dove Cesare Pavese andava a leggere il giornale, la casa viene scavalcata dai binari che si stendono di fronte al mare.
Dalla porta-balcone del giardino, si accede alla camera di Pavese.

Le cose sono ancora vive e conservano la sua presenza.

La finestra, la scatola dei libri che gli venivano inviati dalla sorella, la lampada, la lanterna arrugginita. Tutto rivive ed è illuminato dagli aneddoti raccontati dagli abitanti di Brancaleone. Dicono che Pavese pagasse dei bambini affinché schiacciassero gli scarafaggi in casa. Riportano la testimonianza dell’ultimo che lo conobbe in paese: un signore da poco deceduto, che ricevette ripetizioni di latino dallo scrittore. Questo piccolo allievo era stupito che il suo insegnante fosse l’uomo giunto in manette in paese.

Per capire l’importanza che ha questo luogo per la cultura italiana e internazionale, basti pensare che proprio su questa scrivania, Cesare Pavese iniziò a scrivere Il mestiere di vivere- diario che va dal 1935 al 1950. Il diario raccoglie le riflessioni dell’autore fino a pochi giorni prima della sua risoluzione al suicidio. L’esperienza in Calabria si riversa in molte delle sue opere e soprattutto, nel suo primo romanzo: Il carcere.

Brancaleone è la meta necessaria, il termine di mezzo utile per la mitizzazione del luogo sacro- quello natio delle Langhe. Brancaleone è l’avvio di una crisi esistenziale che precipiterà nel triste destino dello scrittore.

LA STORIA

Il 15 maggio 1935, Cesare Pavese viene condannato a tre anni di confino in Calabria. Ma si sono sbagliati. Pavese non è l’uomo delle rivoluzioni violente. Combatte il grigiore delle coscienze introducendo nuove prospettive in Italia, attraverso la traduzione dei capolavori stranieri e l’Antologia americana- curata da Elio Vittorini . Ma Pavese è innocente. Non è impegnato attivamente nell’antifascismo. La lettera di un carcerato, trovata durante la perquisizione tra le sue carte, è indirizzata a Tina Pizzardo, la donna che lo scrittore sceglie di coprire, fino a farsi condannare. La donna che ama- ma che al suo ritorno dopo un anno, avrà già sposato un altro.

Cesare Pavese giunge così, a Brancaleone il 4 agosto. Il mare delimita l’orizzonte: è “la quarta parete” della sua prigione. La natura selvaggia e oracolare mostra “il dio incarnato …in questo luogo”. Le “rocce rosse lunari” di quei posti, non esprimono nulla che gli appartenga, che gli sia nel sangue.

La permanenza in Calabria sancisce il passaggio dalla lirica alla prosa. Nasce così Stefano, il protagonista de Il carcere- controfigura di Cesare Pavese che ci racconta la vicenda interiore dei suoi giorni da confinato. La forbice che si crea tra personaggio e scrittore si stringe attorno al comune senso di prigionia ineludibile. Il fascino per la donna caprina, selvaggia, il concetto di vita possibile solamente nella memoria. L’inamovibilità, l’assenza della spinta all’ azione, le cose che accadono, il destino, la superstizione, la solitudine.

Un libro assolutamente da leggere. A Brancaleone Calabro.


bulgaria

Bulgari tra eternità e storia 1884-2009

Anni di studi su Bulgari hanno permesso di approfondire la storia di questo marchio e ciò che esso rappresenta oggi nel mondo. La raccolta e l’analisi dei documenti hanno ricostruito un’epopea che attraversa le epoche e le frontiere, tramandando quel gusto per l’innovazione e il dettaglio diventati uno stile inconfondibile.

Per la storiografia del gioiello è un capitolo molto importante. Che inizia a sua volta con un’altra storia: quella di Sotirio Bulgari, il fondatore. La sua visione, l’originale ricongiunzione di Grecia e Roma classica,l’audacia del viaggio che come un’odissea moderna lo porterà a Corfu e a Napoli, fino a raggiungere la nuova capitale dell’Italia unita, hanno del resto origini ancora più antiche.
Nato poco dopo la metà dell’Ottocento sui monti dell’Epiro attraversati dall’Acheronte, fiume dell’Ade, e dominati dal tempio di Zeus a Dodona, Sotirio Bulgari respira sia il mondo del mito sia l’arte del metallo, che nel suo territorio viene tramandata fino dall’epoca bizantina. La forza dell’immaginario classico e quella di un’abilità tecnica millenaria danno a Sotirio Bulgari coraggio, visione, e un bagaglio di speciale sensibilità: i fermenti che iniziano ad animare il mondo gli faranno superare i confini e gli stili.

Fino dai primi decenni del Novecento Bulgari partecipa al movimento Art déco, destinato a cambiare il gusto dell’intero Occidente, e di lì in avanti continua a introdurre nella tecnica e nell’estetica innovazioni decisive. Dopo la magnificenza degli anni cinquanta e il “rinascimento del colore” nel decennio successivo, Bulgari identifica il glamour della pop art. Nei wild eighties nasce la gioielleria prêt-à-porter: il modo di pensare e di produrre gioielli cambia di nuovo.

In questi ultimi anni, grazie a un lavoro lungo e ininterrotto, sono stati costituiti l’archivio e la collezione storica dei gioielli Bulgari, ed è stato reso così possibile l’ampliamento della monografia che racconta e spiega questa storia. È stato riorganizzato un patrimonio culturale che comprende migliaia di documenti, foto e disegni originali, e una selezione dei migliori pezzi della produzione Bulgari, rintracciati e riacquistati non senza qualche comprensibile difficoltà.

Un materiale così ricco e appassionante non poteva sfuggire all’interesse pubblico: nasce così questa importante retrospettiva. La mostra celebrerà sia il fondatore, sia l’intreccio della storia di Bulgari con quella della capitale. Ma non solo: il 2009 è infatti il 125° anniversario dell’apertura del primo negozio nella Città Eterna, da cui cominciò a irradiarsi il gusto per un nuovo concetto di stile, dalle radici profonde e dai frutti preziosi.

Oggi Bulgari è per le pietre colorate il primo gioielliere del mondo e il suo stile, basato sull’innesto dell’eredità greca su quella romana, è riconosciuto ovunque e resta inconfondibile in tutte le sue evoluzioni.

Il Palazzo delle Esposizioni di Roma, edificato nel 1883 a poche centinaia di metri dai luoghi in cui il giovane Sotirio si stava affermando come gioielliere di successo, presenterà circa quattrocento tra gioielli, orologi e oggetti preziosi realizzati da Bulgari in più di un secolo. La maggior parte non è mai apparsa in pubblico, perché appartiene a collezionisti privati e «vive» in cassaforte. Altri pezzi provengono dalla Collezione Vintage Bulgari, un’antologia museale permanente di oggetti fuori commercio. Verranno esposti anche disegni, documenti originali e testimonianze fotografiche dei clienti più celebri: industriali, aristocratici, artisti famosi, divi del cinema.

Bulgari. Tra eternità e storia 1884-2009. 125 anni di gioielli italiani
Palazzo delle Esposizioni
Via Nazionale, 194

da Lunedì 15 Giugno a Domenica 13 Settembre 2009
Martedì, mercoledì e giovedì ore 10.00 – 20.00. Venerdì e sabato ore 10.00 – 22.30. Domenica ore 10.00 – 20.00. Chiuso lunedì

Contatti:
tel. 0039 06 39967500
sito ufficiale www.palazzoesposizioni.it


calcio in cina

Il calcio in Cina

23 luglio 2009
Gli scavi archeologici hanno in effetti riportato alla luce palloni di pietra (shiqiu 石球) e di terra-cotta (taoqiu 陶球) del neolitico. Inoltre, nel corpus delle iscrizioni della dinastia Shang [1600-1046 a.C.], figura un ideogramma nel quale si vede una sfera sormontante un paio di piedi; secondo al-cuni studiosi, si tratta dell’antenato del carattere 鞠 ju “pallone di cuoio”. Quest’ultimo termine compare a sua volta in alcuni passi del grande storico antico Sima Qian [145/135-? a.C.]. In uno, ci-tando testi precedenti, si afferma:

迨至战国齐策有记击筑鼓瑟吹竽蹴鞠
dai zhi Zhan Guo Qi Ce you ji ji zhu gu se chui yu cu ju
Al tempo dei Reami Combattenti [475-221], negli “Stratagemmi del Reame di Qi” si legge il passo: “Battono sui liuti a 13 corde, percuotono gli arpeggioni, soffiano negli organi a bocca, calciano il pallone”

In un altro si dice:

临淄甚富而实其民无不吹竽鼓瑟弹琴击筑斗鸡走狗六博蹴鞠者
Linzi shen fu er shi. Qi min wu bu chui yu, gu se, tan qin, ji zhu, dou ji, zou gou, lubo, cu ju zhe
A Linzi sono ricchi e ben provvisti, nessuno degli abitanti rinuncia a soffiare negli organi a bocca, percuotere gli arpeggioni, suonare il liuto, battere sui liuti a 13 corde, far combattere i galli e correre i cani, giocare a domino e calciare il pallone

Lo cuju (“calciare il pallone”) era dunque all’epoca sia parte delle cerimonie sia attività ludica. Le sue origini sono però militari, come indica una chiosa del filologo Liu Xiang [77-6 a.C.]:

蹴鞠者传言黄帝所作或曰起战国之时蹴鞠兵势也
“cu ju” zhe, chuan yan Huangdi suo zuo. Huo yue: qi Zhan Guo zhi shi. Cu ju, bing shi ye
Si tramanda che il calcio sia stato inventato dal Sovrano Giallo. Altri dicono che sia nato al tempo dei Reami Combattenti. Il calcio era un’esercitazione militare

Da parte sua, il grande commentatore del “Libro degli Han”, Yan Shigu, ci ha lasciato una de-scrizione dello ju:

鞠以韦为之中实以物蹴蹋为欢乐也
ju yi wei wei zhi, zhong shi yi wu, cu ta wei huan le ye
Lo ju è fatto di pelle conciata, all’interno è riempito di materiale vario, si calcia per divertimento

Molte stele Han mostrano scene di cuju, che appare per lo più giocato in coppia o da giocolieri. Perchè sia descritto come un gioco di squadra, bisogna aspettare il capitolo “Il gioco del pallone” del “Libro degli Han”. Il testo tuttavia è andato perduto e sopravvive solo in parte, nelle citazioni di un autore Tang [618-960], Sima Zhen. Egli accenna alle norme per allestire un “campo di cal-cio” e uno storico moderno, Tang Hao, ha cercato di ricostruirlo.

Insomma, che il pallone pieno, prima di pietra e di terracotta, poi di cuoio, fosse calciato per addestramento e svago è fuor di dubbio. Mancano testimonianze certe che fosse giocato a squa-dre e che andasse scagliato in una porta.

Più tardi, in Giappone, nel periodo Asuka [552-716], comparve il kemari (scritto con gli stessi due caratteri cinesi usati per cuju).

In Occidente, il gioco del pallone nacque nell’antica Grecia e si diffuse poi nell’Impero Ro-mano, col nome di harpastum (“pallone”, probabilmente ripieno di stracci). Un passo del com-mediografo greco Antifane [388-311] descrive una partita di pallone sicuramente fra squadre:

prese la palla ridendo e la scagliò a uno dei suoi compagni, riuscì ad evitare uno dei suoi avversari e ne mandò a gambe all’aria un altro, rialzò in piedi uno dei suoi amici ma non cita porte dove scagliare il pallone.

Nel celebre caso del calcio fiorentino, giocato nel Medioevo con un pallone gonfiato, la palla può essere toccata anche con le mani e si è dunque in presenza di un antenato del rugby piuttosto che del calcio moderno, che nasce inequivocabilmente in Inghilterra, il 26 ottobre 1863.


La Settimana della Lingua Italiana nel Mondo

La “Settimana della Lingua Italiana nel Mondo” nasce nel 2001 da un’idea dell’Accademia della Crusca, massima istituzione a custodia della nostra lingua, e della Direzione Generale per la Promozione e Cooperazione Culturale. Essa è ormai un evento consolidato che, sotto l’Alto Patronato del Presidente della Repubblica, ogni anno acquisisce maggior forza e un numero sempre più grande di adesioni da parte di Istituti di cultura e Ambasciate, che dimostrano un grande sforzo organizzativo per proporre manifestazioni di grande qualità.

La lingua è parte integrante della cultura di un paese, ma è soprattutto il veicolo privilegiato per trasmetterla al di fuori dei confini nazionali. Proprio per questo la Settimana è stata pensata come un contenitore di eventi che abbiano per comune denominatore la promozione dello studio e l’approfondimento della lingua italiana. La Svizzera, Paese in cui l’italiano è una delle lingue nazionali, è sin dalle prime edizioni associata a questa iniziativa.

Per una settimana in tutta la rete estera del Ministero si tengono eventi di vario tipo incentrati appunto sulla lingua italiana e aventi come filo conduttore un tema che cambia di volta in volta. La scelta del tema è molto importante perché esso deve prestarsi ad accomunare tutta una serie di eventi; dunque più il tema è valido, più iniziative si riescono a creare. Ognuna delle sedi estere declina questa tematica in modo diverso e originale, dimostrando così le grandi potenzialità della nostra rete di Ambasciate ed Istituti di Cultura, che, se stimolata in maniera opportuna, può produrre risultati di grande impatto e ad elevato livello quantitativo.

Si può dunque considerare la Settimana della Lingua come la principale manifestazione di promozione linguistica che, edizione dopo edizione, accresce il numero di eventi proposti: più 30% nel 2006, più 15% nel 2007, dal 2005 gli eventi sono aumentati di oltre il 50%.

L’ultima edizione, l’ottava, il cui tema è stato “L’italiano in piazza” si è svolta dal 20 al 26 ottobre 2008 e ha visto la realizzazione di un numero di circa 1600 eventi in 95 Paesi.

L’edizione 2009 della “Settimana” (19-25 ottobre) ruoterà invece intorno al tema de “L’italiano tra arte, scienza e tecnologia”, in concomitanza con il ricorrere di alcuni significativi anniversari quali i 400 anni dalle prime osservazioni astronomiche compiute da Galileo con il cannocchiale, i cento anni dalla nascita del Futurismo, e la proclamazione del 2009 quale “Anno Internazionale dell’Astronomia” da parte dell’Onu.


letteratura cinese

La letteratura italiana e la Cina

Lo dimostrano i fatti. Dai dirigenti riformatori della fine dei Qing, Kang You-wei e Liang Qichao, fino a dirigenti del Partito Comunista Cinese come Zhang Wentian, da eminenti scrittori e poeti come Guo Moruo, Mao Dun, Lin Yutang, Ba Jin, Xu Zhimo, Su Manshu, Wang Duqing, fino a studiosi del calibro di Hu Shi o Qian Zhongshu, la crema dell’intellighentsia cinese si dedicò senza ecce-zione alcuna, con traduzioni e saggi, a diffondere in terra cinese la letteratura italiana, guadagnandosi molti meriti nei rapporti fra le letterature cinese e ita-liana. Uno dei corifei della rivoluzione letteraria cinese del Quattro Maggio [1919], Hu Shi, pubblicò fra il 1917 e il 1918 molti saggi di seguito sulla rivista “Gioventù nuova” [La jeunesse, Xin Qingnian], elevando Dante a modello per la costruzione di una nuova cultura e di una nuova lingua nazionale e portandolo alle stelle. Il prof. Qian Zhongshu, dall’ineguagliabile erudizione, nelle sue pub-blicazioni accademiche citò le opere di oltre 90 poeti e scrittori italiani, alcuni dei quali malnoti perfino agli studiosi italiani, e operò confronti con la lettera-tura classica cinese. Egli aveva una predilezione speciale per il Leopardi, che ci-tò in quasi 30 passi.

Per motivi storici, gli scambi letterari sinoitaliani tacquero per un certo perio-do. Nel 1970, la Cina e l’Italia allacciarono le relazioni diplomatiche e, a partire dalla fine degli anni Settanta, la Cina avviò una politica di riforme e apertura all’estero. Ciò creò un insieme di fattori esterni ed interni assai giovevoli agli scambi letterari sinoitaliani e la diffusione della letteratura italiana in Cina en-trò in una nuova fase, di inedita floridezza, in una nuova atmosfera e con ca-ratteristiche nuove assai soddisfacenti.

Da tempo si è finalmente conclusa la fase storica in cui la letteratura italiana veniva tradotta per il tramite di un’altra lingua, l’inglese, il francese, il russo, il giapponese. Grazie agli sforzi di un gruppo di traduttori e studiosi versati nella lingua e nella cultura italiane, i Cinesi possono leggere opere letterarie italiane tradotte direttamente dalla lingua originale. È una svolta storica di cui ralle-grarsi. Dagli anni settanta del sec. XX a oggi, centinaia e centinaia di roman-zieri, poeti e drammaturghi italiani sono stati presentati ai Cinesi, mentre di molte opere celebri sono comparse varie traduzioni, per esempio della “Comme-dia” di Dante e del “Decameron” di Boccaccio circolano oggi quattro versioni, due de “I promessi sposi” del Manzoni, e nuove versioni vedranno presto la luce. Le traduzioni dell’ “Infinito” leopardiano sono oltre cinque. Le opere poetiche di Montale e Quasimodo, a quanto so, compaiono in almeno 30 antologie di poe-sia straniera pubblicate in varie parti della Cina. L’esistenza e la concorrenza di traduzioni diverse permettono al lettore di cogliere il fascino artistico dell’ opera originale tramite le versioni migliori.

Dagli anni novanta del XX secolo, sono state pubblicate in successione una serie di grandi collane di letteratura italiana; altre lo saranno, non appena completata la compilazione. Ad esempio, nel 1990 ha visto la luce la “Collana di letteratura antifascista italiana”, che raccoglie 9 opere, fra cui “Fontamara” di Ignazio Silone, “Cristo si è fermato ad Eboli” di Carlo Levi, “Cronache di po-veri amanti” di Vasco Pratolini, “Se questo è un uomo” di Primo Levi, “Uomini e no” di Elio Vittorini, “Il deserto della Libia” di Mario Tobino. Nel 1993 la “Colla-na di letteratura italiana del XX secolo” ha raccolto10 opere di Svevo, Buzzati, Calvino, Moravia, Sciascia, Malerba, Cassola e Soldati. La “Collana di classici italiani”, la cui redazione è ormai completata, sta pubblicando 12 opere di grandi letterati, dal Rinascimento al XX secolo. Seguiranno poi le “Opere scelte di Italo Calvino” (13 opere) e le “Opere scelte di Alberto Moravia” (5 opere). La pubblicazione di serie di collane supererà lo stato di frammentarietà e disper-sione della letteratura italiana e colmerà una lacuna, permettendo al lettore cinese di conoscere sistematicamente e integralmente la letteratura italiana.

In seguito all’approfondimento degli scambi, le traduzioni di letteratura italia-na non si limitano più al solo realismo, ma si occupano equanimemente di au-tori di multiformi tendenze e delle più varie correnti, scuole e stili letterari. Al-cuni scrittori e scuole negletti e sottovalutati, come la poesia futurista, l’esteti-ca dannunziana, il teatro di Pirandello, sono stati giustamente rivalutati e le lo-ro opere vengono pubblicate le une dopo le altre. Testi pirandelliani come “Ve-stire gli ignudi”, “Sei personaggi in cerca d’autore”, “I giganti della montagna” sono stati più volte portati sulle scene e sugli schermi.

Nel 1989, viene fondata a Pechino la Società Letteraria Italiana (Yidali wen-xue xuehui). Da dodici anni, in felice e proficua collaborazione con l’Istituto Ita-liano di Cultura dell’Ambasciata d’Italia, ha tenuto 12 simposi di letteratura italiana. Ogni anno, il governo italiano garantisce la partecipazione di scrittori e professori italiani affermati, che vi prendono la parola. Da parte nostra, vi invi-tiamo celebri scrittori, poeti e studiosi cinesi, come Wang Meng, Zhang Jie, Ji-dimajia, onde rafforzare i legami e gli scambi con il mondo letterario italiano e promuovere l’ampliamento e l’approfondimento dell’ opera di traduzione, studio, insegnamento e pubblicazione della letteratura italiana in Cina.Nel

1994, lo scrittore italiano Luigi Malerba venne in Cina per prendere parte al nostro convegno. Tornato in patria, scrisse articoli sui giornali e per la rete, dove considerava l’importanza dei rapporti culturali italo-cinesi. Una sua frase ha lasciato una profonda impressione:

La cultura è l’anima del commercio

Proprio così, e potremmo ricordare che Marco Polo nacque in una famiglia di mercanti e che furono il padre e lo zio, dediti ai commerci internazionali, a por-tarlo in Cina, ma che fu “Milione”, che gli diede fama mondiale, a permettere agli Europei di scorgere a Oriente un mondo incantato e a spingerli a diriger-visi. Dunque, le culture orientale e occidentale e gli scambi commerciali tra-sbordarono l’umanità in un’epoca nuova. La letteratura è uno dei mezzi più po-tenti di cui i popoli dispongano per approfondire la reciproca conoscenza e vei-colare i proprio sentimenti. Gli scambi fra culture diverse sono la ricchezza del-la storia umana. Disse lo scrittore argentino Jorge Luis Borges:

Un libro rappresenta una nazione

La funzione, impercettibile ma duraura, esercitata dalla letteratura sul pen-siero e sull’animo umano non può essere né svalutata né sostituita. Concedete-mi qualche altro momento per spiegarmi con due esempi.
Il celebre scrittore cinese Ba Jin scrisse molte opere, negli anni ottanta del XX secolo, per lo più ricordando i giorni tragici e neri delle persecuzioni che a-veva subito. A quei tempi, afflitto e disperato, recitava mentalmente, ogni gior-no, i versi della “Commedia” dantesca. Per lui, la situazione in cui versava era assai simile a quella descritta nell’ “Inferno” e poteva trarre dai versi del grande poeta italiano il coraggio per continuare testardamente a vivere e avere fiducia nella sua resistenza alle forze del male. È evidente, la letteratura dà una grande forza spirituale!
Il primo a tradurre dall’italiano in cinese la “Commedia” di Dante fu il pro-fessor Tian Dewang. Nel 1983, ormai settantaquattrenne, iniziò a tradurre il classico, adempiendo al voto di una vita. Poco dopo, tuttavia, per una grave malattia, perse le forze e gli si indebolì considerevolente la vista. Inforcati oc-chiali da miope molto forti e servendosi anche di una lente d’ingrandimento, o-gni giorno, con energia straordinaria, spingeva avanti instancabilmente la pen-na. Dopo 18 anni, nell’agosto di quest’anno, egli finalmente completò la tradu-zione dell’ultima terzina della terza cantica, il “Paradiso”. Un mese dopo, la ma-lattia lo costringeva a letto e ci abbandonava per sempre, mentre la sua anima volava nel paradiso del poeta italiano che aveva amato per tutta la vita. È evi-dente quanto sia ardua l’opera del traduttore, ma anche che impresa nobile sia!

Stiamo per dire addio al XX secolo e per entrare nel nuovo millennio. Un pro-verbio italiano dice:
Un bel giorno si vede dal mattino

Nel 2001 vedranno la luce la “Collana di classici italiani”, le “Opere scelte di Italo Calvino”, le “Opere scelte di Alberto Moravia” e le versioni cinesi di un gruppo di opere letterarie italiane. Questo buon inizio dimostra che, illuminati dalla luce del nuovo secolo, stiamo procedendo verso un domani di straordina-ria bellezza e fulgore negli scambi letterari fra Cina e Italia.


carracci

Il paesaggio in Carracci e nella pittura cinese

In realtà, il nostro artista non produsse mai alcun manifesto teoretico della propria arte; possiamo rifarci ad una orazione funebre in memoria di Agostino, fratello di Annibale, composta nel 1603 da Lucio Faberio, in cui gli ideali dell’Accademia degli Incamminati sono esaltati, primo tra tutti quello che vuole l’atto imitativo come un “miglioramento” della realtà, attraverso l’attenzione che l’artista deve riservare a ciò che colpisce, che è opportuno e favorevole. L’artista possiede l’abilità di cogliere “le intenzioni della Natura”.

Bisogna anche dire che i giudizi critici degli antichi (penso al Bellori e all’Agucchi) non resero giustizia ad Annibale Carracci: da qui l’etichetta di “eclettismo”, che ne provocherà la momentanea disgrazia nel XIX secolo. In realtà, nei suoi anni bolognesi, Annibale seppe conciliare i richiami classicisti di un Raffaello con gli stimoli provenienti d’oltralpe, che portarono la pittura felsinea a specializzarsi in grandi scene paesistiche con personaggi in primo piano. Si deve anche ricordare l’influenza esercitata dalla pittura veneziana di Tiziano, Tintoretto e dello stesso Veronese: non c’è eclettismo in tutto ciò, ma una continua ricerca, una espressione di ricettività.

Negli anni 1595-96, Annibale avrebbe eseguito i famosi affreschi di Palazzo Farnese * ; negli anni successivi, tuttavia, egli sarebbe stato vittima secondo alcune fonti di un “humor melanconico” (che oggi probabilmente chiameremmo depressione), che ne ridusse fortemente l’attività creativa, sino alla morte, avvenuta inopinatamente all’età di soli 49 anni. Sembra di poter dire che Annibale fu sempre come una spugna rispetto all’ambiente che lo circondava, anche emotivamente; e non è un caso se, dopo l’insoddisfacente pagamento ricevuto da Odoardo Farnese per il suo splendido lavoro, forse sentendosi minacciato dall’astro di Caravaggio,, egli ridusse di molto la sua produzione, esprimendosi in uno stile molto più rigido.

Annibale Carracci fu artista eclettico; ma oggi, il mio intervento sarà centrato su un ambito peculiare dell’opera di questo grande maestro bolognese: i suoi dipinti di paesaggio, entrati a far parte di una precisa categoria della critica d’arte, quel “paesaggio ideale” (in inglese ideal landscape) in cui avrebbero più tardi brillato i capolavori di Poussin e di Claude Lorrain. Durante questo breve intervento, potrete apprezzare alcuni capolavori creati dal Carracci in questo campo, mentre chi vi parla cercherà di circoscrivere il “campo semantico” della categoria del “paesaggio ideale”, per poi azzardare alcuni confronti con la pittura di paesaggio cinese tradizionale.

Bisogna innanzitutto osservare come nella pittura europea il paesaggio sia diventato protagonista delle opere pittoriche solo con la fine del Rinascimento. Ernst Gombrich già negli anni Cinquanta ricordava come lo stesso termine “paesaggio” appaia nei testi solo verso il 1520. Soprattutto in Nord Europa, il paesaggio comincia ad essere al centro dell’attenzione degli artisti e anche dei committenti (di estrazione, va detto, ben diversa dalle tradizionali classi nobiliari e/o ecclesiastiche, che in Italia costituivano il motore del mercato delle opere d’arte). Indubbiamente, il disgregarsi dell’unità anche mentale del mondo medievale aveva portato, oltre alla ben nota affermazione del primato dell’individualità, ad un ampliamento senza precedenti del mondo, ben riflesso d’altronde nelle continue scoperte geografiche, che andavano via via ampliando i ristretti confini del mondo conosciuto. Di qui un nuovo interesse per la natura, peraltro evidente in alcune correnti intellettuali dell’epoca, come il Neo-Platonismo.

È una natura tuttavia in cui l’uomo non è mai assente, insieme all’espressione dell’umano artificio: l’architettura. Sono punti su cui tornerò nelle considerazioni comparative finali. Potremmo dire che l’ideale della classicità, che aveva attraversato tutta la pittura del XVI secolo fino a sopravvivere stancamente negli esiti, peraltro artisticamente elevati, della pittura manierista, si scontra, a cavallo fra Cinquecento e Seicento, con un bisogno inedito di rappresentare la natura come centro della composizione e non più come sfondo.

Tanto Caravaggio quanto Annibale Carracci rappresentano in modo diverso questa esigenza che, senza voler intenzionalmente contraddire il classicismo, è destinata a orientarne in modo diverso le istanze, dando vita a un secolo, il Seicento, che per molti versi vien detto anticlassico.

È pur vero che anche nell’arte barocca sopravvive un forte spirito classico, ben visibile nel costante riferimento a Raffaello e nella diffusa aspirazione a una bellezza ideale, spesso coincidente con le nuove aspirazioni della Chiesa; ma la pittura si apre a scenografie inedite, percorse da un vibrante dinamismo che in Annibale Carracci inserisce i residui della tradizione iconografica nella luce di una natura idealizzata, che diventa per l’appunto una sorta di “scenografia” del creato.

Sull’aspetto “scenografico” della pittura di paesaggio di questo periodo, dobbiamo anche ricordare che, sin dal XV secolo, in Italia la rappresentazione di paesaggi era stata impiegata come un mezzo, appunto, scenografico, teso a decorare le pareti delle ville rurali dell’aristocrazia, o degli orti posti all’interno delle ricche residenze urbane. Già Leon Battista Alberti, il primo fra l’altro a parlare nel suo trattato teorico della “prospettiva lineare” in pittura, introduceva varie tipologie paesistiche relative a differenti “tipi di scenario”. Alberti riprendeva in questo la tradizione classica, citata da Vitruvio, dei dipinti decoranti gli ambulacri delle dimore-giardino della nobiltà romana, “rappresentanti immagini tratte da determinate caratteristiche di certi siti” (“ab certis locorum proprietatibus exprimentes”); veri e propri “tipi” paesistici, “paesaggi che si possono definire astratti, tanto sono ‘tipici’”, per citare ciò che ne disse il grande storico Pierre Grimal.

Successivamente, l’attenzione al paesaggio si concretizzerà in alcuni trattati generali sulla pittura: ricordiamo le opere di Sebastiano Serlio (1545) e di Cristoforo Sorte (1580), in cui, fra l’altro, l’aspetto “scenografico” dei tipi paesistici risalta anche dalla scelta dei “tre piani” da adottare-primo piano, piano intermedio e sfondo- per rendere la profondità della composizione pittorica: una scelta che suggerisce fortemente una struttura simile a quella di una rappresentazione teatrale, e che verrà ripresa nei suoi paesaggi da Annibale Carracci, con una definizione e una chiarezza del tutto nuove, che vanno al di là del tema del “lontano”, espresso da Raffaello e soprattutto da Leonardo.

Due dipinti di Annibale possono fungere da esempio di questa resa scenografica del paesaggio “tipico”: si tratta di due opere dedicate alle due attività della caccia * e della pesca *, oggi conservate al Louvre. Le loro stesse dimensioni (253×136 cm) attestano che esse erano destinate alla decorazione di una stanza, forse dello spazio della parete posto sopra una porta. Possiamo qui agevolmente riconoscere la resa dei tre piani di profondità, con le figure umane in primo piano. Ma naturalmente, Annibale non può più accontentarsi della resa “matematica” della profondità, peraltro già integrata nelle mirabili note di Leonardo sulla “prospettiva atmosferica”, cioè sull’effetto degli elementi atmosferici e meteorologici sulla visione del “lontano”: egli si serve del colore, o per meglio dire della maestria nel dosare differentemente l’intensità del colore, per rendere l’atmosfera e gli stessi contorni degli elementi paesistici, nonché quei giochi di luce che poi esploderanno pienamente nelle sue opere posteriori.

L’aspetto scenografico di una composizione paesistica “tipica”, con personaggi ed architettura, è infine pienamente affermato in questa deliziosa incisione su rame , il “Concerto sull’acqua”*, in cui possiamo quasi immaginarci gli elementi architettonici del piano intermedio come una quinta teatrale, sulla cui parte superiore è infine dipinto lo sfondo paesistico.

Un altro felice esempio della produzione pre-romana carracciana è questa “scena fluviale” *, conservata alla Washington National Gallery of Art, ed eseguita verso il 1590. Qui emerge un altro elemento fondamentale nei paesaggi ideali di Annibale: l’acqua. (si veda anche questo schizzo preparatorio, un paesaggio fluviale con barche *. Che siano lingue di terra, gente in barca, piante acquatiche, l’acqua è sovente paredra ideale di questi elementi, accompagnata da una percezione dell’umidità atmosferica, resa da un sapiente uso dei toni, che risente indubbiamente dell’influenza della tradizione veneziana di un Tiziano o di un Tintoretto.

Così il paesaggio, che pure è parte integrante di tutta la storia della pittura, diviene finalmente, con Annibale, un genere, acquistando una sua mirabile autonomia. Se dunque la pittura barocca sorge da un lato come deviazione dall’ideale classico in contrapposizione alla verità di natura, dall’altro in essa questo ideale sopravvive come aspirazione virgiliana a un tempo e un luogo felici, dove è possibile immergersi: il riferimento a Virgilio è quanto mai opportuno, se pensiamo alla potenza dell’influsso del tema dell’Arcadia, ideale mondo rurale cantato da Virgilio nelle Ecloghe (ma non solo da lui: si pensi a Teocrito), sulla pittura di paesaggio di Annibale, e in seguito di Poussin.

Grande è l’abilità del Carracci, al suo arrivo a Roma, nell’adattare le sue esperienze con i criteri romani: ciò porterà ad una evoluzione dei suoi “paesaggi ideali”. Basti osservare uno dei suoi capolavori, la lunetta della “Fuga in Egitto” (1603)*, dove i personaggi sacri paiono fondersi nello scenario naturale, in una pittura “al limite fra cristianità e paganesimo”. Siamo fra il 1603 e il 1604 e già ha inizio “la vicenda del paesaggio moderno in Italia come scoperta della poesia della campagna romana” e le lunette della Fuga in Egitto e della Deposizione di Cristo per la cappella di palazzo Aldobrandini al Corso, si pongono a fondamento “di una ritrovata verità morale fra l’uomo e la natura”. C’è qui piena armonia ed equilibrio fra i lati della composizione e gli strati della profondità pittorica, organizzati attorno ad un asse centrale, in cui ritroviamo la Sacra Famiglia in primo piano e un gruppo di edifici che torreggiano sullo sfondo intermedio. Tutto in quest’opera parla di un sottile, ricercato equilibrio emozionale fra il dramma umano e la varietà, quasi enigmatica, della natura.

Ma si osservi anche un’altra opera di tema evangelico, la Maddalena pentita * del 1598, e un San Giovanni Battista *, e soprattutto unPaesaggio fluviale *, che siamo costretti a definire “romano”, in quanto romano è indubbiamente il vocabolario architettonico degli edifici che torreggiano in piano intermedio. Il tema dell’architettura, spesso massiccia, posta a livello mediano nella successione dei livelli di profondità, è reinterpretato da Annibale anche sull’influsso della pittura olandese, ben nota negli ambienti bolognesi da cui egli proveniva.

Inoltre, i temi eroici o pii di molte opere del periodo romano non devono farci dimenticare che il linguaggio di fondo è sempre quello, pagano, della natura. Basti osservare l’atteggiamento della Maddalena carracciana, simile certo più nella sua posa ad un filosofo meditabondo che al personaggio evangelico: un femminino qui certo “controllato”, razionale, ma perfettamente a suo agio e “inquadrato” nel mondo perennemente fertile e lussureggiante della Natura, che qui sembra quasi fare da grembo. Che siderale distanza dalla tradizione canonica, che vuole la Maddalena pentita rifugiarsi nel deserto !

Ma riprendiamo il filo conduttore del nostro discorso: il concetto di “paesaggio ideale”. Da dove esso trae origine ? E quale ne è il senso ?

In realtà, il termine “paesaggio ideale” è sempre stato associato alle opere di Annibale Carracci, e poi di Poussin e di Claude Lorrain, ma quanto ai contenuti di tale etichetta, gli studiosi hanno espresso opinioni non sempre concordi. Essa fu coniata forse da Joseph Gramm in un suo studio del 1912, il quale però considerava lo “ideale Landschaft” come un elemento universale della storia dell’arte; fu Kenneth Clark nel 1949 a collegare il termine con l’abilità del Carracci nel costruire paesaggi di una musicale, cristallina chiarezza. Inutile descrivere le posizioni degli altri studiosi che si sono interessati al problema: potremmo riassumere la questione, affermando che nel “paesaggio ideale”, per citare Margaretha Rossholm Lagerlof, abbiamo questi elementi di un vocabolario artistico:

Soggetti antichi (biblici e mitologici), ed una ambientazione nel mondo antico; uno spazio pittorico razionale e strutturato, che produce regolarità, o armonia ed equilibrio; la natura come co-creatore delle azioni umane e soggetta alla moralità umana, la natura interpretata in base ad una volontà misteriosa o magica, o percepita come un umore-contemplativo e pregno di qualità e ritmo musicali […]. Una caratteristica sia fondamentale che comune […] è un tipo di spazio pittorico in cui livelli successivi creano una impressione di profondità; primo piano, piano intermedio e sfondo sono visti come una serie di strati paralleli al piano pittorico, ed uniti da dolci linee diagonali a zigzag.

Il paesaggio ideale, spesso incline a un gusto letterario, è dunque prevalente nel XVII secolo, la cui civiltà pittorica, da considerarsi ormai in dimensione europea, opera scelte moderne, decisamente orientate a criteri di bellezza e verità, che se trovano la loro radice nell’estetica rinascimentale, trasferendosi in seno alla natura ne subiscono le insidie e i contrasti, destinati a riformulare il linguaggio pittorico in modo per l’appunto moderno, adatto a recepire ogni tipo di contraddizione e a nutrirsi di quello spirito critico, che resta la grande innovazione del XVII secolo anche per i secoli a venire. Da allora l’ideale classico, riaffiorando come conquista interiore e discernimento critico, appartiene all’estetica e quindi all’idea del bello, ma non necessariamente alla metafisica, giacché nel paesaggio del XVII secolo si concilia con la natura, dischiudendo la strada a una pittura che sa interpretare la realtà.

(c) 2009, Prof. Maurizio Paolillo, Ordinario dell’Universita’ di Lecce.